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Baglio del Cristo di Campobello con Carmelo Bonetta


Saranno i 40 gradi che al nord straniscono, sarà questo grillo che sto degustando, sta di fatto che mentre scrivo ho idea di essere in Sicilia. 

Mi viene facile ripensare a qualche settimana fa, quando con Luigi Salvo siamo stati a trovare Carmelo Bonetta a Baglio del Cristo di Campobello, e come mi suggerisce Angelo Bonetta, a Campobello di Licata che non è Licata.


Sorrido ripensando a quel viaggio tra Agrigento e la Valle dei Templi, fino ad arrivare da uno straordinario viticoltore e negli anni diventato un caro amico. 

Carmelo è così, espressione della sua terra, delle sue viti delle sue vendemmie, del territorio.

Una bella realtà di vini, soprattutto per i bianchi, in una verticale da pelle d’oca, ricordo ancora il Grillo Lalùci 2006 intenso, minerale, agrumato, dentro al vino c’è la vita, le parole a volte sono superflue devi solo chiudere gli occhi e lasciarti trasportare dalle sensazioni e dai profumi di un vino che è lo specchio dell’anima di Carmelo

Mentre scrivo ho bisogno di un sorso di questo Grillo in purezza che mi appassiona. Un sorso che facilita anche lo scritto nei ricordi e nelle sensazioni, come durante la degustazione in cantina quando abbiamo assaggiato tutti i bianchi e tutte le tipologie di rosso, ogni anno con l'affinamento migliorati nel bouquet con profumi e note più intensi.

Carmelo non è solo il vignaiolo che quando arrivi in cantina ti presenta la sua gamma di vini, Carmelo vuole che tu sia parte dell'azienda, che tu possa respirare i profumi dell'uva tra i filari, dove tocchi con mano la terra nera, vulcanica, che subito dopo diventa calcarea quasi quarzata per la durezza siccitosa. E poi il profumo dei mosti e dei vini; solo così potrai capire cosa vuole dal Grillo, dal Nero d'Avola Lu Patri, dal Syrah Lusirà, dal Laudàri, l'Adènzia, il CDC cioè il Cristo di Campobello Rosso un blend di Nero d'Avola, Merlot, Cabernet Sauvignon e Syrah ma anche il CDC bianco con uve di razza come il Grillo, l'Insolia, Chardonnay e Catarratto e ancora con il CDC Rosato da uve di Nero d'Avola. Pensate soltanto alle etichette, alla cura nella scelta e il significato del velo Siciliano come creazione e segreto. Bellissimo !

L'immagine che più ho a cuore è quella di Domenico il fratello di Carmelo che qualche tempo fa purtroppo se n’è andato, è ritratto sui muri della sala di degustazione, in Cantina, e Carmelo continua a trasmettere il suo pensiero, il pensiero di una Famiglia vera, che lavora in vigna e in Cantina con determinazione per regalarci ad ogni sorso una piccola emozione



E’sempre difficile coinvolgervi in sensazioni provate e vissute, soprattutto durante la visita in una Cantina che trasmette entusiasmi e passioni come al Baglio del Cristo di Campobello, e pubblicate sulle pagine di una rivista, perchè la Sicilia è poesia nei paesaggi, nel mare, tra la gente, in mezzo alle vigne e nel vino.








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Il Fiano di Avellino CampoRe di Terredora - Una verticale da brivido 

Ho sempre avuto preferenze per i vini bianchi, siano fermi o bollicine, ed ogni volta che provavo a raccontare di come mi avesse entusiasmato quel bianco con qualche anno in più di affinamento mi sentivo dire che “ quelli sono i sentori di una lenta caduta”. 
Vi presenterò i miei sorseggi, sicuramente non tutti ma i più avvincenti. Nell'occasione in cui Paolo Mastroberardino ha presentato le eccellenze di Terredora, ha voluto sottolineare soprattutto il legame con il territorio - quello che i francesi chiamano terroir - addirittura per Paolo ha un valore più complesso, dove interagisce la filosofia del vignaiolo. 
Grandi vini bianchi d'Irpinia ed il Fiano di Avellino CampoRe, con terreni argillosi di origine vulcanica, clima mediterraneo e grandi escursioni termiche, questa è la collina di Lapio dove viene coltivato il vino bianco autoctono  di questa regione.

Ecco la annate di questa splendida verticale 2013 – 2011- 2010 – 2009 – 2008 – 2007

Il 2013 - Subito un bel naso di frutta matura poi mineralità e freschezza, aromi vegetali e salvia, sapido quasi salino, elegante con un finale lungo. Un vino importante.

Il 2011 - Naso evoluto, bouquet intenso, acacia fieno, note agrumate e di vaniglia, in bocca è morbido, fresco e di grande struttura.

Il 2010 - Al naso i frutti maturi arricchiscono la beva, il pompelmo e la pera emergono distinti, in bocca rimane un lieve sentore di miele e una piacevole nota di vaniglia, finale carico di sensazioni mediterranee

Il 2009 - 8 anni per un vino che ancora regala emozioni, il naso è quasi balsamico, frutti maturi e poi note petrolate, in bocca esplode la godibilità, è ricco di corpo, fresco ed elegante il finale è lungo con leggere note saline che lo impreziosiscono

Il 2008 - L’importanza di un vino ci viene data anche dal colore e questo Fiano è giallo dorato, con un naso pulito, complesso che ricorda idrocarburi, bucce di pompelmo lasciate nell’alcol, fieno. In bocca si esaltano le sensazioni nasali, spicca ancora la freschezza, la sapidità sulle labbra volge quasi al salino e ne impreziosisce il sorso con un finale lungo.


Il 2007 - E’ con rispetto che mi avvicino a questo vino, nel momento in cui stappo la bottiglia trovo il tappo in perfette condizioni, subito ci assale al naso il senso di pulizia e finezza, poi il colore giallo oro intenso, di nuovo al naso un leggero vanigliato poi agrumi e datteri, rimango piacevolmente sorpreso dai sentori intensi di miele poi albicocca. 



E’ il momento di berlo ed è allora che esplode in bocca, grande palato che riporta le note trovate al naso, anche un delicato rabarbaro, la vaniglia rilasciata da un legno di leggera tostatura. Il corpo è suadente e manda vampate africane grazie ai suoi 13 gradi,  nel finale lungo, una sensazione di caramello che si confonde con le mandorle. Lo definirei un vino Vulvanico, che da un senso di terroir ancora più intimo







www.terredora.com

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Ristoratori e tappo a vite, Il Diavolo e l'Acqua Santa


di Renato Rovetta

Perchè al ristorante non ci propongono vini con il tappo a vite? Semplice perchè al ristoratore non piacciono, perchè non lo ritengono poetico, probabilmente ritengono più poetico l'odore del tappo di sughero nel vino. 

Mi è capitato durante l'estate, per lavoro ma anche per piacere, di frequentare diversi  ristoranti e in alcuni di essi l'amara sorpresa del vino che sapeva di tappo, non appena chiedevo come mai non avessero una linea di vini con il tappo a vite, il famoso Stelvin, mi sentivo dire che ero uno sprovveduto, che non sapevo le differenze, molti si sono spinti a consigliarmi un corso per sommelier.

Credo invece che molti ristoratori siano rimasti legati ad un vecchio ricordo del tappo di sughero, e ancora più vecchi - mentalmente - perchè non si sanno adeguare alle esigenze di produttori e clienti; ma nemmeno vogliono tener a mente che basta fare un salto in Austria, in Germania, in Svizzera e pian piano anche la Francia con i suoi Reasling troveranno vini importanti con un bel tappo a vite.

Torniamo al ristoratore, è' lui che rabbrividisce se il produttore glielo propone, è lui che detta legge. Mi spiego: un produttore che fa poche bottiglie, ha la piacevolezza di venderle senza avere resi, ma quando una partita di tappi di sughero è contaminata, le bottiglie che sanno di tappo ritornano in cantina e il danno per un piccolo produttore può essere pesante ma con il tappo a vite questo problema non esiste più. 

Qualche anno fa - per uno studio - si è usato lo Stelvin sul "Clare Valley Semillon 1999", per un test durato ben dieci anni, e condotto dall' Australian Wine Research Institute bene, all'apertura delle bottiglie i numerosi degustatori internazionali hanno trovato un vino evoluto, importante senza nessuna ossidazione. 

Il tappo a vite diventerà sempre di più una garanzia per consumatori e produttori, ma questo quand'è che lo impareranno i ristoratori?



Questa è l'evoluzione del colore nei dieci anni di affinamento con il tappo a vite